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Audio Review Mar.'96/158 Giradischi Planar 9 Toni Jop

giradischi Rega Planar 9

Trovato: solido, essenziale, bello, funzionale, capace, versatile, compatto, piccolo, non costosissimo, con una bellissima voce. La notizia è questa: ho trovato un giradischi formidabile per virtù che non ti chiede sofferenze e che ti può dare tutto quello che si può desiderare da una macchina nata per far "suonare" i dischi di vinile.

Un giradischi che metterà in grandi difficoltà il vecchio Olimpo, che darà ino scossone al Linn Sondek e che negli anni futuri gli contenderà il primato proprio in quel parco di macchine senza tempo che sono una certezza per gli audiofili di tutto il mondo.
Ed è nato in casa Rega, non dal nulla, ma da un'evoluzione sostanziale anche se non rivoluzionaria del vecchio e mai tramontato Planar. Un progetto intelligente ed "economico"; questa splendida e raffinata versione della famiglia Rega conserva ed esaspera il profilo slim dei modelli precedenti, conserva e ottimizza il profilo del già ottimo braccio che ha servito i Planar 2 e 3. In altre parole, questa nuova macchina sembra mettere a fuoco alcune linee guida note e messe in pratica in precedenza dagli stessi laboratori inglesi. Una lezione di stile.
Il giorno in cui Gandhi ha deciso di produrre un giradischi definitivo, non ha cercato la sorpresa ad ogni costo, non si è lanciato in un'avventura destinata a colpire il mercato per la sua carica "eversiva"; ha riflettuto sulle potenzialità racchiuse - per giudizio unanime, va detto - nella sinergia raccolta in un progetto la cui industrializzazione aveva, credo, raccolto un successo quasi feroce per funzionalità e affidabilità. Si trattava solo di rimetterci le mani, badando alla sostanza, a tutto ciò che, ad esempio nel Rega 3, veniva suggerito in potenza e che chiedeva solo di essere estratto dalla materia. Dalla stessa materia. Così, la struttura metallica del braccio è la stessa del modello precedente, ma viene lavorata con una tolleranza infinitamente superiore tale da renderla compatibile con la precisione di una qualunque parte del meccanismo di un buon orologio che se ne frega del quarzo. Non solo; per restare nel campo del braccio, il telaio metallico viene rivestito con una serie di verniciature impeccabili che lo trasformano in un oggetto sordo, un "buco nero" per quanto riguarda la capacità di inghiottire senza drammi le vibrazioni, la maggior parte di quelle che viaggiano in banda audio.
Tutto qui? Ammesso che sia tutto qui, questa trasformazione senza rivoluzioni costa agli artigiani e ai tecnici della Rega un numero decisamente importante di ore di lavoro in più, il che, se non altro, aiuta a capire perché un oggetto molto simile ad un altro costi alla fine parecchio di più. Gandhi è persona discreta, non fa arrembaggi, non inventa sceneggiate, non si gasa, non ha l'animo dello yuppie, non cerca l'immagine vincente; è semplicemente un artigiano di classe che opera su scala industriale senza perdere di vista i fondamenti di quella cultura artigianale da cui origina. Ed è difficile staccare un qualunque oggetto della sua produzione dal suo temperamento, dalle sue scelte fondamentali. Non si riesce, ad esempio, a disgiungere l'affidabilità generale delle sue creazioni dalla cura quasi maniacale con cui Gandhi e i suoi principali collaboratori si sono dedicati, prima che alla costruzione, alla realizzazione delle macchine operatrici da cui dipende la precisione degli insiemi; una serie di calibri speciali cui è affidata l'intolleranza dei componenti è frutto dell'intelligenza del gruppo progettazione della Rega, e lo stesso vale per altri strumenti e macchine utensili fatte in casa in un clima - attenzione, forse questa mia definizione è solo un pessimo neologismo - "ecologically correct", dove, cioè, è evidente lo sforzo di conservare all'uomo la centralità del processo produttivo; Robert Owen approverebbe questa versione "socialista-umanista" della sua organizzazione del lavoro.
I volumi del giradischi sono ridottissimi, l'ho annunciato; si riduce così la massa vibrante e allo stesso tempo si riducono i punti di connessione tra le parti in gioco. La sua semplicità estetica, come spesso accade, non è che l'immagine di un lavoro che si è posto come obiettivo unico e non derogabile quello di una massima semplicità d'uso legata, ripeto, alla affidabilità silenziosa di uno strumento che non deve far altro che girare mentre la sua materia "dorme", non viene, cioè, eccitata dal movimento. Tutto secondo tradizione della casa: niente controtelaio flottante, un pezzo unico su cui si imperniano il braccio e l'asse del piatto, collegato da minuscoli ponticelli ad una cornicetta esterna in legno nobile. Il piatto è uno dei vanti di Gandhi: realizzato in materiale ceramico, il più rigido che esista, pesante, bellissimo, bianco-latte, costosissimo, tornito con cura orologiera, assicura ai microsolchi un supporto ideale e al Rega 9 un look inconfondibile.
Questa formidabile macchina dispone poi di un alimentatore esterno che serve il motore con prevedibile precisione e costanza nel tempo. È alloggiato in una sottile scatola di metallo nero che nei rapporti, e nel peso, nella qualità e nella solidità conserva l'imprinting delle elettroniche prodotte da questa ammirevole casa inglese. Ora, provate a controllare il prezzo sul mercato di un qualsiasi alimentatore "intelligente" per giradischi di buon livello e vedrete che il prezzo finale del Rega 9 è una sorpresa filantropica. L'alimentatore va sempre collegato a rete: stare sotto tensione - minima in condizioni non operative - gli fa solo bene e non lo fa ronzare; l'accensione del moto viene prodotta dalla leggera pressione su un micropulsante che sta sul lato destro del frontale, accanto ad un led sempre acceso; per chiudere il moto bisogna cliccare due volte sullo stesso bottoncino, poiché con un solo altro click si passa dalla velocità dei long playing a quella dei 45 giri. L'estetica generale della macchina ricorda vagamente quella dei vecchi Pink - che pure suonavano egregiamente - dai quali tuttavia si stacca per una sensazione di maggiore solidità e sordità, come se in questo caso funzionalità e affidabilità avessero stracciato, in fase di progettazione, qualunque tentazione di vanità. Ciò nonostante, il Rega 9 è bello, straordinariamente bello. Pare un giocattolo, tanto è minuscolo, essenziale, a prova di errore. Avevamo appena finito di giocare una spaventosa partita di calcio sul tappeto erboso di casa Gandhi ed eravamo rientrati, giusto per la presentazione del Rega 9, ricchi di un sudore che faceva franare il nostro sex appeal e della convinzione che la nostra classe di allora avrebbe piegato anche gli "speroni caldi" del Tottenham; Roy spiegava con calma e serenità nel gradevole parterre della sua ex-fattoria mentre noi, i reduci, inquinavamo quella neoclassica atmosfera inglese con quella poco elegante nebbiolina che aleggia negli spogliatoi maschili di una palestra di pelota. Fu allora che il padrone di casa, spinto al suicidio dalle capziose obiezioni di un gruppo di giornalisti umidi, prese a martellate il giradischi proprio mentre stava lavorando. Ricordo che non era esattamente un martello, ma un grosso cacciavite impugnato dalla parte dell'asta di metallo, sbattuto come un manganello proprio accanto a quel bel piatto di ceramica. Quel gesto da venditore di piazza ci ha conquistati: da un lato ci ha fatti sentire a casa nostra, dove questa teatralità probabilmente è nata, dall'altro ci ha convinti che il Rega 9 "nol gà paùra de nissun", poiché il braccio è rimasto ancorato al disco nonostante le martellate e la narrazione musicale non ha subito traumi consistenti. Diavolo d'un Gandhi.
Devo premettere che, dopo quella ouverture inglese, ho ascoltato il Rega 9 a casa mia con una compagna non proprio trascurabile: sotto il braccio era ed è montata una Grasshopper Gold e io un po' mi vergogno per la strafottenza impopolare così raggiunta dal sistema. Il sistema di ascolto lo trovate nel riquadro qui sotto. Non ne potevo più di elencare pezzi di sistema e dischi test: soffrivo come un cane a stendere elenchi di questo tipo; per questo ho implorato più volte chi può di sistemare a parte una scheda precotta con tutto quel che serve a chiarire le condizioni di ascolto nel corso delle prove. Finalmente mi hanno ascoltato, anche se nel frattempo sono invecchiato e i ladri mi hanno portato via tutte le macchine fotografiche; niente assicurazione e niente soldi per ricomprarle. Poco tempo fa è successo anche a De Marchi; a lui, veramente, hanno rubato anche di più; però: cosa c'è dietro questi attentati che stanno facendo a pezzi i due più bei ragazzi di AUDIOCLUB?
Ecco i dischi test: oltre a "Blue" di Joni Mitchell, questa Ella Fitzgerald ripescata dal catalogo Verve dai tecnici della Living Sound Fidelity, i "Concerti Brandeburghesi" diretti da Karl Richter per la Archiv, Miles Davis in "My funny Valentine", Bruce Cockburn in "High Winds White Sky", Igor e David Oistrach in "Concerto per due violini" di Bach (Deutsche Grammophon), Graham Nash in "Songs for Beginners". Beatles e Led Zeppelin.
L'unico parametro in cui la stragrande maggioranza dei giradischi analogici cede, è vero, ai sistemi di lettura digitale, è la focalizzazione dei soggetti attivi nell'immagine. Quando questo non accade, si può star certi di essere di fronte ad un giradischi fuori ordinanza, ad un fuoriclasse. E questo Rega 9 è un fuori-classe. Non raggiunge i livelli di precisione dell'Eldorado di Moss, e neppure glielo si chiede, ma questa minuscola macchina che non flotta fa più di un miracolo. Per esempio, impone alla scena una stabilità formidabile e allo stesso tempo garantisce un equilibrio da primato al trattamento dell'intera gamma di frequenze audio, senza privilegi o omissioni. Si avvicina, quindi, a quella apparente neutralità che viene comunemente giudicata la miglior dote di un giradischi analogico. E evidente, quasi, la grande tranquillità con cui il sistema braccio-testina scivola sulla superficie del disco, segno che, per virtù, questo lavoro non viene disturbato dalle vibrazioni che necessariamente coinvolgono la macchina nel suo insieme. In queste condizioni, è facile riprodurre segnali musicali complessi conservando un'entusiasmante spazialità alla scena; larga, profonda, alta. Il Rega 9 è una di quelle macchine che fanno felici tutti gli altri anelli della catena e che ti danno la sensazione di aiutarti a scoprire musica dove prima sembrava ci fosse solo rumore. Voci e strumenti stanno li, sulla scena, ancorati ad una scenografia mai traballante, i lineamenti musicali di un sassofono o di una tromba, delle voci di Joni Mitchell e di Cockburn esistono coerenti nel tempo senza incertezze e senza sfarfallamenti. Avete mài osservato quella sorta di indecisione vibrazionale che mina il corpo, la messa a fuoco dei corpi delle masse suonanti? Non è incidente raro; anzi, credo che, se si hanno buoni orecchi, questo tormentino non abbandoni quasi mai chi sa ascoltare. Con il Rega 9, anche il sistema cerebrale più allarmato può rasserenarsi. I premi in palio sono più d'uno. Altro esempio: il rapporto tra le medie e le basse frequenze. Anche in questo versante, mediamente critico per la sua suscettibilità ai comportamenti meccanici delle macchine in gioco (mi pare sempre legato ad un problema di vibrazioni che riguarda sempre e comunque valvole, schede, chàssis, zoccoli, diaframmi, magneti, e, secondo me, anche i cavi), la creatura di Gandhi strappa applausi, poiché la sua oramai celebrata "serenità" operativa gli consente di subire passivamente, senza involontarie rielaborazioni, la regia delle frequenze imposta dalla traccia di registrazione. Il risultato è una voce pulita, definita, dettagliata che non si sporca nemmeno in quella fase di incrocio di frequenze, e risulta quindi riposante, fluida, piena, generosa di prospettive e di ambienze.
Aggiungete a tutto questo la enorme facilità d'uso, il minimo ingombro, la non necessità di ricorrere alla scelta di bracci di altro tipo (il suo è in grado di sopportare qualunque tipo di fonorivelatore), la sua bellezza, il suo prezzo, la sua affidabilità. La vedo dura per i concorrenti; ammesso che qualcuno abbia intenzione di mettersi in gara. Fra vent'anni ci sarà ancora, when I get older losing my hair.

Toni Jop

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